Salento. Studiare itinerari di questa terra misteriosa, dalle tradizioni salde, radicate sino a compenetrarsi con i suoi abitanti, potrebbe risultare dispersivo, se non approssimativo. Tante, infatti, sono le mete e le strade percorribili per visitare la penisola salentina, e il consiglio migliore è quello di seguire i suggerimenti della gente locale, che indica dove andare, i locali in cui far tappa, le meraviglie naturali da ammirare. Lo fa in modo colorito, magari, ma sempre col cuore in mano.
Storia e tradizioni, in Salento, vanno a braccetto, e per coglierle basta addentrarsi con occhio attento tra le distese di ulivi secolari, che affondano le loro radici in quelle zolle rossastre che con maestria e sudore i contadini del luogo lavorano senza sosta. Ancora oggi, infatti, il tempo in questo quadro sembra essersi fermato: donne e uomini sono chini sui campi, fazzoletti a coprire il capo delle donne, cappelli sporchi di terra e canottiere, e una nenia in sottofondo. Canzoni popolari, che accompagnano e alleggeriscono la giornata lavorativa e che sono una delle colonne portanti delle tradizioni salentine.
Il tarantismo
Da sempre quando ci si riferisce a Salento, non possono essere tralasciati tutti gli aspetti legati al fenomeno del tarantismo, fenomeno che rimanda ad affascinanti credenze popolari che raccontano di donne, ma non solo, vittime del morso delle tarante, grossi ragni velenosi.
Il tarantismo viene palesato con crisi molto simili a quelle epilettiche, con convulsioni, isterie, movimenti continui, disagi e precari equilibri psicologici che si credeva potessero essere espiati e guariti con antiche danze.
Tamburelli, tanti, un ritmo continuo, senza mai un declino di un suono, senza mai sosta, e la voce di un solista, accompagnato poi da cori, erano la cornice del quadro che racchiudeva la tarantata, che a suon di musica e dimenamenti riusciva a operare una catarsi del corpo e dell’anima, liberandola dal veleno del ragno.
Oggi le tarantate sono un fenomeno isolato, se n on quasi estinto, ma resta ancora la tradizione di lunghi canti popolari, nenie o componimenti dal ritmo più serrato, che risuonano durante le feste di paese e sono diventate espressione della salentinità sia in tutta Italia, sia nel mondo. Prova ne è la Notte della Taranta, manifestazione che ha assunto grandezza incredibile con gli anni, che si svolge a Melpignano, un caratteristico paesino della Grecìa, che a fine agosto attira turisti da ogni parte del mondo per un concertone trasmesso in tv.
Le tradizioni nella gastronomia
Oltre a gustare i piatti caratteristici della terra salentina, è dolce e molto, molto interessante, capire e conoscere a quali tradizioni sono legate le pietanze che possono essere degustate. La cucina locale, umile e povera, ma non per questo meno ricca di sapori e profumi, ha diversi piatti che, come un pò in altre regioni di Italia, fanno parte di veri e propri riti propiziatori, anche se spesso è la religione ad accompagnare e a fare da padrona nelle tradizioni gastronomiche salentine.
I piatti a base di lenticchia, come un pò tutti i legumi, assieme a confetti e frutta secca, si credeva portassero soldi.
Le uova sode rappresentavano un auspicio per un nuovo ciclo vitale, e così via.
San Martino (novembre): una festività religiosa intoccabile per tutti i salentini che, in qualsiasi parte del mondo siano dislocati, non perdono occasione per festeggiare a suon di vino novello e castagne la serata, tra musiche e canti.
Immacolata (dicembre): in questo periodo in Salento si è soliti fare un digiuno 8che poi così digiuno non è!), in cui è ammesso pranzare solo con pucce (pane impastato con olive) farcite con pomodoro o tonno, e un brodo leggero la sera, simbolo di purezza d’animo. Un sacrificio che si fa per rendere omaggio alla Madonna.
Natale: pranzo e cena hanno un rituale che ancora oggi viene seguito alla lettera da molte famiglie. L’abbondanza del cenone della vigilia, spesso a base di pesce, viene compensata con un brodo vegetale leggero a pranzo il 25. In più pittule croccanti, pastella di farina e acqua fritta, purciaddhuzzi e carteddhate (dolci fritti con pinoli, cannella e altre spezie), sono dei piatti must del periodo natalizio. Natale è legato a curiosità che vale la pena di accennare. La cena della vigilia, abbiamo detto che deve essere particolarmente ricca, con svariate vivande e abbondanza di frutta secca. Quando la famiglia, dopo aver mangiato sino a tardi, lascia la casa per recarsi in chiesa per la classica messa della notte di Natale, la tradizione vuole che si lasci la mensa apparecchiata, per le anime dei morti che potranno, così, rifocillarsi. E che nessuno dimentichi di rifornire di biada e mangime il pollaio, perchè altrimenti gli animali si lamenteranno con il bambin Gesù appena nato.
Addolorata (febbraio): in questo periodo la tradizione vuole che in tavola vengano serviti maccheroncini di pasta fatta in casa cotta nel vincotto (vino e zucchero molto cotti che divengono una sorta di crema), a ricordare il lutto della Madonna.
San Giuseppe (marzo): la festa del papà viene onorata con un piatto tra i più apprezzati e famosi della tradizione gastronomica salentina: la tria con i frizzuli, pasta fatta in casa condita con ceci e pezzi di pasta fritta. Oltre a questo piatto, immancabile su tutte le tavole, la tradizione vuole che ci sia un assaggio di capellini conditi con ricotta e pepe nero, a ricordare la barba di San Giuseppe.
Pasqua: anche la santa Pasqua ha delle sue pietanze, come i famosi turcinieddhi, involtini di carne fatti con interiora di agnello legate e tenute assieme da budella e le cuddhure, bamboline di pasta di pane con una o più uova sode incastonate nella pancia, simbolo di vita, fertilità e abbondanza.. Le uova sode delle cuddhure sono spesso contese dai bimbi.